10 giugno 2019 CAMERA DEI DEPUTATI
Commissione VIII (ambiente, territorio e lavori pubblici)
Disegno di legge approvato dal Senato il 6 giugno 2019, n. 1248
“Consideriamo negativo che neanche dopo due anni dell’approvazione del Correttivo del Codice dei Contratti si sia proceduto attraverso una revisione molto pesante dello stesso, intervenendo, di fatto, su 81 articoli e sospendendone taluni che riteniamo centrali per la corretta applicazione della normativa sul sistema degli appalti pubblici. Situazione questa che può determinare una applicazione non trasparente e discrezionale della norma indebolendo il contrasto della corruzione, e alimentando la penetrazione delle mafie negli appalti.
In presenza, tra l’altro, di una legge delega all’esame del Parlamento che ha come obiettivo la riforma radicale del Codice e la riproposizione del Regolamento attuativo.
Non è veritiera poi l’affermazione che attribuisce al Codice dei Contratti la responsabilità del blocco degli appalti in Italia.
Tutti i dati empirici, le stesse relazioni semestrali dei competenti Uffici di Camera e Senato, comprovano invece una crescita elevata del mercato degli appalti pubblici salito a quota 139,5 miliardi nel 2018 nei settori delle forniture, dei servizi, e in modo particolare grazie alla spinta dei bandi per le opere pubbliche saliti fino a quota 32,3 miliardi, pari ad un increment di più 37% rispetto al 2017.
Come fuorviante è la discussione in merito alla necessità di semplificazione e velocizzazione delle gare in quanto appare evidente l’intento, nella filosofia della riforma, di perseguire essenzialmente una deregolamentazione del settore, in quanto il cosiddetto incaglio degli appalti, la mancanza di velocità tra la programmazione e la realizzazione di un opera o un servizio, quasi sempre è dovuto ad aspetti che nulla hanno a che vedere con il Codice.
Il blocco attiene ai 36 passaggi autorizzativi oggi necessari:
- ai continui rimpalli di competenza;
- spesso al prolungarsi delle cosiddette “conferenze di servizi” che nate per semplificare ed individuare i livelli di responsabilità e competenza funzionano poco e male;
- alla scarsa qualità delle stazioni appaltanti.
La vera operazione da compiere era appunto quella di ridurre drasticamente il numero delle stazioni appaltanti, passando da quasi 56.000 a qualche migliaio, qualificandole e dotandole di adeguato personale tecnico, giuridico e amministrativo.
Anche in questo caso la proposta di riforma va nella direzione opposta in quanto viene sospeso l’obbligo per i Comuni non capoluogo di provincia di centralizzare le procedure di appalto e ridando a tutti, anche alle micro realtà Comunali, la possibilità di appaltare in proprio. E’ poi del tutto incomprensibile, se non in una logica tipicamente clientelare e dispersiva delle risorse pubbliche, la scelta di qualificare la società “Sport e Salute spa” quale Centrale di Committenza, e la costituzione della società per azioni “Italia infrastrutture spa”.
E’ allarmante che il 60% degli appalti banditi ogni anno in Italia venga assegnato senza una gara pubblica, ma attraverso incarichi di fiducia, scelti direttamente dai funzionari pubblici o sulla base di inviti non preceduti da un avviso pubblico, e ancora più allarmante che nel settore delle opere pubbliche questo dato si alzi al 66%: due cantieri su tre sono affidati in assenza di una vera concorrenza.
L’allargamento delle procedure negoziate senza bando di gara, e la “pratica” degli affidamenti diretti, previste nel decreto in discussione, lungi dal contrastare questa filosofia, allargano ulteriormente le maglie determinando lo svuotamento del principio di concorrenza e di pari opportunità, contenuto nelle stesse Direttive Europee, e possono alimentare i livelli di discrezionalità favorendo il proliferare della corruzione.
I punti maggiormente critici
– la sospensione dell’obbligo di scegliere i commissari di gara tra gli esperti iscritti all’albo istituito presso l’Anac;
– l’aumento al 40% della soglia dei subappalti;
– la sospensione dell’indicazione della terna dei subappaltatori in fase di gara anche per le attività maggiormente esposte a rischi d’infiltrazione mafiosa;
– l’abolizione dell’obbligo, per l’impresa offerente, di dimostrare essa l’assenza di motivi di esclusione in capo ai subappaltatori; modifica art. 47 comma 2, e relativa all’affidamento dei lavori ai consorzi stabili non considerati subappalti;
– soppressione della norma che stabiliva che l’affidatario del subappalto non avesse partecipato alla procedura per l’affidamento dell’appalto.
Tutto ciò rende aleatoria l’esigenza di salvaguardare gli stringenti controlli di legalità sui subappalti, strumento utilizzato, come indicano il costante aumento delle interdittive antimafia, di penetrare ed esercitare un controllo da parte delle mafie sulla filiera degli appalti e dei finanziamenti pubblici.
Inoltre con la sospensione del divieto dell’appalto integrato, il ritorno al progetto di massima, in luogo di quello esecutivo, la possibilità per le pubbliche amministrazioni di avviare le procedure anche in presenza di finanziamenti limitati alla sola attività di progettazione e in assenza dei fondi necessari alla realizzazione e il ripristino del criterio del massimo ribasso nei lavori sotto la soglia comunitaria di 5.500.000, determinano i presupposti di contesto e le condizioni ideali per la lievitazione del costo finale di un opera per effetto delle varianti in corso d’opera.
Amplissime sono poi le deroghe al Codice assegnate ai Commissari straordinari, che rischiano di diventare delle vere e proprie super strutture autoreferenziali che sfuggono a qualsiasi controllo alimentando una concezione di legislazione straordinaria e perennemente emergenziale degli appalti, e a tutt’oggi tranne che per qualche opera non esiste allo stato un elenco complessivo delle opere su cui intervenire.
Infine, necessita grande attenzione l’articolo riguardante la cessazione della qualificazione dei rifiuti in termini di economia circolare che non risolve le disparità normative tra Regioni ed interviene su una materia di estrema delicatezza in tema di appalti, e non salvaguarda appieno sia l’occupazione che i riflessi sulle tariffe all’utenza Emerge chiaro l’indebolimento dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione, la cui funzione di prevenzione, di controllo e d’orientamento viene drasticamente e ridimensionata.
Il ritorno al Regolamento attuativo, in sostituzione delle linee guida e dei decreti ministeriali attuativi, ha tempi lunghissimi di adozione e in questo vuoto legislativo si possono determinare grandi incertezze nell’applicazione delle regole, che possono determinare, questo si, il collasso del sistema degli appalti, quando invece si avrebbe bisogno di assoluta stabilità e certezza della norma. L’insieme di queste considerazioni ci porta ad esprimere un giudizio assolutamente negativo sul provvedimento in discussione in quanto peggiora il quadro normativo preesistente, lo rende incerto e indebolisce gli aspetti che riguardano la trasparenza delle procedure e il contrasto della corruzione e penetrazione delle mafie, colpendo i lavoratori e la stessa imprenditoria sana del Paese che si troverà a competere in una situazione di grave difficoltà. Segnaliamo infine, per la dimensione di crisi che ha assunto e che colpisce 100 imprese e circa 2.500 di lavoratori che rischiano il licenziamento, il blocco delle attività sulla Agrigento- Caltanisetta e sulla Palermo-Agrigento, appaltati dall’Anas alla CMC, la necessità di prevedere nel decreto l’istituzione di un fondo salva-imprese che si faccia carico di situazioni come queste
Disposizioni relative agli eventi sismici
Anche sulla parte relativa alle “Disposizioni relative agli eventi sismici”, Cgil, Cisl, Uil, avevano presentato le proprie osservazioni poichè il testo, volendo semplificare gli interventi, sostanzialmente con una distinzione tra interventi rilevanti, di minore rilevanza o privi di rilevanza (a seconda della classificazione è previsto un differente regime autorizzatorio perfacilitare le procedure per aprire i cantieri nelle zone a rischio sismico) non sembrano invece risolvere le maggiori criticità relative alla ricostruzione e ai gravi ritardi, dal personale per gli uffici speciali della ricostruzione e i Comuni del cratere, alle norme per la semplificazione delle procedure di autorizzazione dei progetti e quindi di erogazione dei contributi per la riparazione dei danni.
Dai territori coinvolti è stato più volte richiesto lo snellimento delle procedure burocraticheinerenti la ricostruzione pubblica e privata, in alcune zone di fatto bloccata. Non è condivisibile la possibilità che i Comuni si possano sostituire all’ufficio speciale della ricostruzione, non tanto per quanto concerne l’ausilio all’istruttoria, quanto gli adempimenti conseguenti alla concessione di contributi (attualmente subordinati ai sensi dell’ordinanza commissariale n.58 alla regolarità e congruità nel lavoro messa in capo agli uffici speciali per la ricostruzione).
Non è aumentando la discrezionalità chiara nella norma, (procedure ristrette e un esiguo numero di inviti comportano un aumento di discrezionalità delle stazioni appaltanti nella gestione delle gare, e limita il libero accesso delle imprese al mercato degli appalti pubblici adanno della trasparenza dei procedimenti e del contrasto ai fenomeni corruttivi) che si accelera la ricostruzione nelle zone colpite da eventi sismici, col rischio di vanificare gli strumenti di tutela, a partire dal DURC per congruità, il cui obbligo di adozione deve essere reintrodotto anche per la ricostruzione post-sisma dell’Aquila 2009 (vecchio cratere) come accade per i terremoti del centro Italia 2016-2017, evitando che norme differenti insistano su uno stesso territorio e che in alcune zone, rientrando in entrambi i crateri, possano coesistere situazioni di obbligatorietà o no, a seconda della data del sisma.
E non è innalzando la soglia per affidare i lavori in subappalto che si agisce, come è stato dichiarato, con maggiore velocità, rischiando di alimentare, invece, fenomeni di corruzione e infiltrazioni di criminalità organizzata, favorire l’irregolarità del lavoro e l’elusione delle normative contrattuali e di quelle relative alla sicurezza dei lavoratori, che stanno ormai diventando una costante. Nonchè ampliare usi distorti dello strumento e di dequalifica del lavoro in alcune opere, che possono inficiare sulla qualità delle opere stesse. Il punto è sicuramente di rilievo per l’esecuzione di opere pubbliche in generale, ma può avere effetti amplificati laddove si concentrano, come nel caso della ricostruzione di intere zone, consistenti quantità di risorse erogate e elevato numero di cantieri nel territorio.
Permangono problemi di isolamento per la mancata realizzazione o completamento di infrastrutture viarie e ferroviarie, si registrano difficoltà per i ritardi nella ricostruzione o nuova costruzione di opere pubbliche di forte utilità (ospedali, scuole), condizione imprescindibile per prevenire l’abbandono del territorio e ricostruire le comunità colpite dal sisma, favorendo il radicamento delle famiglie e il reinsediamento della popolazione.
Per evitare fenomeni di abbandono del territorio, nei Comuni che presentano una percentuale superiore al 50% di edifici dichiarati inagibili, è ricomparsa la norma che prevede l’installazione di strutture abitative temporanee ed amovibili. Stante la necessità di rispondere all’emergenza, questa norma non deve costituire un alibi per non procedere con la ricostruzione. Non specificando la durata della temporalità può sussistere un problema, relativo a intere zone interessate da complessi temporanei abusivi, per i quali non è semplice trovare una soluzione alla rimozione e che ponga termine alla temporalità. La norma non deve rappresentare un condono per queste situazioni, né i Comuni devono tradurla in una liberalizzazione edilizia sul territorio. Deve essere limitata al territorio già urbanizzato, impedendo ulteriore impermeabilizzazione ed evitando costi per le amministrazioni in opere d’urbanizzazione primaria necessarie per strutture temporanee. Devono essere rispettati e in nessun caso derogati i vincoli ambientali e paesaggistici, vigenti in molti Comuni interessati.
Con modifica al decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.1, si prevede che il ripristino delle condizioni abitative ed economiche ante-calamità naturale possa esse attuato anche “attraverso misure di delocalizzazione laddove possibile temporanea in altra località del territorio regionale”. La finalità originaria dell’aiuto economico era quella di garantire, nel caso di imprese, la continuità delle stesse in attesa delle condizioni per un ripristino delle attività nel territorio originario; tale modifica, aggiungendo “laddove possibile”, seppur stemperando quanto precedentemente diffuso, pone il rischio che la delocalizzazione possa essere definitiva, anche se non potrà superare i confini della regione, rischiando di compromettere le condizioni di ripresa economica e produttiva delle aree interne già duramente compromesse,incentivando il loro definitivo abbandono. Le misure di delocalizzazione dovrebbero essere circoscritte al territorio comunale.
Conflittualità emergono anche sulla rimozione delle macerie, tema cruciale in relazione alla ricostruzione sia pubblica che privata, che ha scontato ritardi fin dall’inizio. I commissari rivendicano una responsabilità tecnica, quando occorrono scelte politiche di governo.
Non si fa poi riferimento, per la progettazione degli edifici e degli alloggi, all’utilizzo di materiali e tecniche costruttive tali da assicurare il risparmio energetico, l’efficienza ambientale ed i requisiti di qualità ed a premialità per gli appalti verdi. Gli interventi devono essere realizzati nel rispetto di quanto previsto dalla normativa statale e regionale in materia di sostenibilità energetico-ambientale e di bioedilizia.
Organico nelle amministrazioni
Tra i temi da affrontare, uno sicuramente da risolvere è rappresentato dalla macchina amministrativa (Regione e Comuni) che ha problemi organizzativi, di professionalità e spesso un organico inferiore al minimo necessario. Un nodo fondamentale che va sciolto è rappresentato quindi dal personale tecnico necessario a completare la progettazione. In alcuni casi la capacità di procedere all’espletamento delle pratiche da parte degli Uffici Speciale Ricostruzione fa stimare in svariati anni il tempo per la sola progettazione.
L’organico degli Uffici speciali per la ricostruzione, con tipologie contrattuali diverse, è peraltro sottoposto a incertezze costanti e consistenti. Il rischio, anche in relazione alla misura cd. Quota Cento, prevista della Legge di Bilancio 2019, è che l’organico venga ulteriormente depauperato, non rafforzato come sarebbe al contrario necessario, né stabilizzando personale che opera nella ricostruzione a tempo determinato.
E’ positiva la previsione di stipulare ulteriori 200 contratti di lavoro a tempo determinato per il 2019 e il 2020. È bene, tuttavia, che, a tre anni dal cratere del 2016 e a 10 da quello del2009, si dia una risposta alle aspettative di chi ha prestato servizio presso le amministrazioni locali a sostegno delle attività di ricostruzione. E’ inacettabile che a l’Aquila personale precario presta servizio nell’ambito della ricostruzione post-sisma da ormai dieci anni, con contratto di lavoro subordinato ed a termine. Nonostante la precarietà della durata del relativo contratto di lavoro, originata dalla concezione della temporalità della ricostruzione post-sisma con cui si è mosso il legislatore dell’epoca, tali lavoratori sono assegnati agli adempimenti della ricostruzione, la quale certo non sarà conclusa al 31.12.2020, data prorogata dalla legge 172/2017 di conversione del D.L. 148/2017.
L’allungamento della durata naturale della ricostruzione, impone di ripensare la contrattualizzazione di tale personale in favore di una forma stabile. Si tratta di valorizzare esperienze e competenze professionali che non possono essere perse e che ormai risultano essenziali al buon funzionamento dell’attività amministrativa nelle comunità in questione. Per fare ciò è opportuno che vengano estesi a questo personale, innanzitutto, i requisiti per lastabilizzazione previsti dalla riforma Madia. Inoltre, per agevolare questi processi, è opportuno individuare i livelli istituzionali, anche in forma associata, che possano assorbire questo personale, evitando di scaricare esclusivamente sui comuni interessati i costi delle assunzioni a regime
Busta paga pesante
Nella riunione del 28 maggio scorso col Commissario Straordinario per la Ricostruzione del Sisma 2016, dr. Piero Farabollini, e le Organizzazioni Sindacali di Cgil, Cisl, Uil, era stata assicurata la proroga al 31 dicembre 2019 per la restituzione fino a 120 rate della busta paga pesante, con la richiesta di prendere ulteriormente in esame ulteriori proroghe nell’ambito della prossima legge finanziaria, perché i territori sono in forte sofferenza. Il sottosegretario Crimi ha annunciato lo slittamento solo fino al 31 ottobre, creando incertezza e disorientamento tra i sostituti di imposta per la restituzione. Abbiamo numerose segnalazioni soprattutto da dipendenti di aziende contattati dai datori di lavoro per la restituzione.