Domenica, 4 Ottobre 2020 – Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è intervenuto alle celebrazioni per la festa di San Francesco Patrono d’Italia
“Anche quest’anno, nel giorno della festa di San Francesco, sono qui ad Assisi per rivolgere un saluto a tutti i presenti e a tutti i cittadini che ci seguono da casa.
Da quando ho assunto l’incarico di Presidente del Consiglio, è un appuntamento che non ho mai mancato: il legame specialissimo che unisce Francesco d’Assisi all’Italia carica questa festa di tanti significati, che trascendono la dimensione puramente religiosa per assumere validità universale.
E quest’anno come abbiamo sentito sono le Marche la regione protagonista del dono dell’olio, che alimenterà la lampada votiva di san Francesco.
In questa fiamma – lo ricordiamo – sono racchiusi idealmente tutti i comuni d’Italia, oggi rappresentati da voi, cittadini marchigiani, convenuti qui ad Assisi e che ci seguite da casa e ai quali rivolgiamo tutti uno specialissimo saluto.
Francesco – come poche altre figure della storia universale – parla all’uomo di ogni fede, di ogni cultura, di ogni tempo, con un chiaro messaggio di autentico “abitante della terra”, di sensibile “figlio del creato”.
E Francesco con la sua ricca umanità, spiritualità ci parla oggi più che mai.
La drammatica crisi sanitaria causata dall’epidemia da Covid-19 ci sta riproponendo interrogativi fondamentali sulla vita e sulla morte: i mesi difficili, quelli più acuti più acuta della pandemia ma anche quelli attuali, ci portano a ripensare a ciò che veramente conta nella vita.
L’uomo contemporaneo ha dovuto misurarsi con la fragilità della sua condizione, con l’angoscia, con lo smarrimento di dover affrontare un nemico invisibile e, quindi, un nemico che ha sconvolto le nostre esistenze, causando diffusi sentimenti di inquietudine, anche di rabbia, condizioni marcate di sofferenza. Coloro che non sono stati direttamente colpiti dal virus sono stati comunque costretti, anche solo per le regole di distanziamento, ad allontanarsi dagli affetti più cari, vivendo una condizione di solitudine, di distacco.
Da questa drammatica esperienza traiamo, come primo fondamentale insegnamento, il valore dell’essenziale, di quello che veramente conta, di ciò che, pur rimanendo spesso invisibile agli occhi, è decisivo per l’esistenza.
E in questo senso, il messaggio di san Francesco appare di straordinaria modernità: nel suo amore per la vita semplice e autentica, come ricorda l’antica Preghiera di San Damiano, cogliamo la chiave per interpretare il tempo presente e i bisogni più profondi dell’umanità, al di là dell’attenzione al superfluo che nel corso degli anni ci ha così distratti da farci smarrire il senso più autentico del nostro vivere insieme.
Dalla crisi sanitaria, che si è trasformata inevitabilmente in crisi economica e sociale, possiamo trarre un secondo insegnamento: il valore dell’unità e della fiducia.
Tutto il Paese ha sperimentato una solidarietà diffusa: piccoli e grandi gesti di altruismo e di solidarietà hanno mostrato quanto l’altro, il nostro vicino, il nostro prossimo, anche se sconosciuto, interpelli le nostre coscienze e, con il suo sguardo, soprattutto nel momento del bisogno, sia in grado di disvelare la nostra stessa umanità.
Anche quanti si sono ritrovati meno coinvolti nell’assistenza diretta ai malati – già solo svolgendo, con responsabilità e sacrificio, il proprio lavoro per garantire i servizi essenziali, accettando anche solo di rinunciare ad alcune libertà pur di proteggere la salute dei nostri cari – hanno colto tutti il valore della solidarietà e della condivisione; ci siamo sentiti tutti parte di un comune destino.
Questa pandemia ci ha reso coscienti del valore della relazione e della cura.
Abbiamo compreso di essere fratelli tutti, come scrive il Papa nella sua terza Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, firmata proprio ieri qui ad Assisi e ispirata, fin dall’inizio, dal messaggio di san Francesco.
L’Italia che sta faticosamente uscendo dalla pandemia dovrà essere una comunità rigenerata.
Siamo consapevoli che il nemico non è stato ancora sconfitto. Siamo consci di non poter però disperdere tutti i risultati sin qui raggiunti a prezzo di molti sacrifici.
Tuttavia – ed è il terzo insegnamento, anch’esso francescano, che possiamo trarre da questa durissima prova – siamo chiamati a volgere lo sguardo al futuro, abbracciando, con coraggio, con fiducia, una prospettiva di rinascita, di autentica conversione verso un modello di sviluppo più equo, più solidale, più sostenibile, più attento all’ambiente, orientato al pieno e integrale sviluppo della persona.
Dobbiamo cogliere questa straordinaria opportunità: l’attesa di una “nuova alba”, che oltrepassi i tanti confini economici, politici e sociali che ci hanno diviso e anche impoverito, non può essere delusa.
La nostra missione – e per quanto ci riguarda, anche la nostra attività di governo – richiede uno sguardo fisso sul futuro, tanto ampio da cogliere ciò che non vedremo con i nostri stessi occhi: dobbiamo custodire, rigenerare la “casa comune” per le future generazioni. È questo il compito che ci attende.
Lo faremo, dedicheremo a questa missione la massima energia: stiamo elaborando un piano nazionale di ripresa e di resilienza che dovrà consegnare, alle generazioni future, un Paese rigenerato.
Questo straordinario impegno perché si possa tradurre in realtà però, non bastano programmi, gli investimenti; occorre, principalmente e prioritariamente, una rigenerazione interiore, un radicale mutazione di passo e di prospettiva, anche sul piano culturale, una rivoluzione, che coinvolga tutti, ognuno secondo le proprie responsabilità, e che abbia al centro l’uomo.
E anche oggi da Assisi rinnovo l’appello per un nuovo umanesimo, quale l’orizzonte ideale entro il quale disegnare le politiche dei prossimi anni.
L’umanesimo si genera là dove il sentimento di smarrimento e precarietà dell’uomo viene avvertito con forza maggiore, costringendo a ripensare istituti, forme, paradigmi che pur consolidati nella nostra mente, si sono rilevati fallimentar, o comunque inadeguati. La crisi che stiamo attraversano rende dunque attuale e urgente abbracciare nuove relazioni tra uomo e mondo, etica e tecnologia, ambiente e sviluppo.
E la spiritualità francescana, così centrata sull’uomo, è certamente una delle sorgenti più feconde alle quali possiamo attingere – al di là delle differenze culturali o religiose e nel rispetto delle sensibilità di ciascuno – per alimentare e dare sostanza alla questa nuova prospettiva umanista.
È forse un paradosso, uno dei tanti però ai quali ci ha abituati Francesco: proprio dal Santo che sceglie di vivere in solitudine e che sembra rinunciare al mondo traiamo l’esempio per un impegno concreto e personalissimo su tanti fronti dell’esistenza, l’esortazione alla contemplazione della bellezza quale chiave conoscitiva che ripara, lenisce e innalza, in modo da restituire all’uomo la sua più alta, incomprimibile dignità.”