Martedì 24 settembre, alle ore 16, presso l’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari, in Via di Campo Marzio 78, è stato proiettato il film “Mother Cabrini” di Daniela Gurrieri, in occasione della commemorazione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Il Presidente della Camera, nella sua introduzione, ha detto:
“È dal 1914 che la Chiesa cattolica celebra questa ricorrenza per ricordare tutte le persone che lasciano il proprio Paese per scappare dalla guerra, dalla fame, dalla violenza e dalle persecuzioni e cercano altrove una esistenza dignitosa ed una prospettiva per il loro futuro.
La figura di Santa Francesca Cabrini, protagonista del film che sarà proiettato tra breve, ha un fortissimo valore simbolico e presenta una grande attualità non soltanto per i cattolici ma anche per i laici e non credenti.
Sulle ragioni per cui nel 1950 fu nominata dalla Chiesa Patrona dei Migranti potrà sicuramente intervenire in modo più qualificato Monsignor Fisichella.
Io vorrei invece soffermarmi su alcuni aspetti della sua opera a favore dei migranti italiani che si impongono alla nostra attenzione e sono a mio avviso di grande attualità.
Penso innanzitutto al contesto in cui Francesca Cabrini operò: quello della emigrazione italiana negli Stati Uniti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Ricordo che, secondo le stime più autorevoli, fra il 1880 e il 1915 quattro milioni di italiani approdarono negli Stati Uniti, mentre ulteriori 5 milioni emigrarono verso altri Paesi delle Americhe.
Questi nostri connazionali lasciavano spesso alle loro spalle miseria e fame; affrontavano viaggi lunghi e faticosi attraverso l’Oceano e, una volta sbarcati, erano sottoposti a controlli medici e amministrativi severissimi e umilianti. Vivevano ammassati in stanze sovraffollate e sfruttati, in gran parte con impieghi precari e massacranti, in fabbrica o nei cantieri. Molti erano i morti sul lavoro e migliaia gli orfani abbandonati a sé stessi. Gli italiani erano poi considerati “gente indesiderata” dalla popolazione locale e vittime di pregiudizi e stereotipi secondo cui essi erano sporchi, ignoranti, criminali e mafiosi, non integrabili in alcun modo nella società americana.
Spesso, quando si affronta oggi il tema della immigrazione, dimentichiamo le sofferenze e umiliazioni cui eravamo sottoposti noi appena cento anni fa. E dimentichiamo quanti sforzi ha richiesto l’integrazione dei nostri connazionali negli Stati Uniti e negli altri Paesi di destinazione.
Un altro importante aspetto dell’opera di Francesca Cabrini e delle sue consorelle fu l’approccio con il quale affrontarono questo difficile contesto. La loro priorità fu quella di togliere i bambini emigrati dalle strade fondando orfanotrofi e scuole, in cui si affiancava lo studio dell’inglese a quello dell’italiano, che spesso gli emigrati stessi ignoravano perché parlavano solo dialetto. E questo con un preciso obiettivo: quello della integrazione graduale nella società americana senza perdere le proprie radici culturali.
Una lezione quanto mai attuale: non può esserci integrazione nelle nostre società se non diamo un accesso pieno ed effettivo al sistema scolastico e, più in generale, all’apprendimento di quelli che sono i valori e i principi su cui si fonda il modello di società del nostro Paese e quello dell’Europa.
Mi auguro, in conclusione, che questi spunti che emergono dalla vita di Francesca Cabrini possano contribuire ad affrontare con maggiore consapevolezza e lucidità – in Italia e in Europa – il tema della gestione dei flussi migratori, con particolare riguardo alle questioni connesse alla integrazione nelle nostre società di rifugiati e migranti.”