PRESIDENTE COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FEMMINICIDIO
Sen. Valeria Valente, Avvocato, Gruppo PD, Membro della 1° Commissione permanente Affari Costituzionali, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, Membro del Consiglio di garanzia.
Senatrice Valente, quando è nata la Commissione Parlamentare da lei presieduta e quali gli obiettivi che si prefigge?
Nel 2017 è stata istituita presso il Senato della Repubblica la prima Commissione parlamentare di inchiesta dedicata a tutte le forme di violenza di genere. Tra i suoi compiti principali c’è quello di portare alla luce sia i limiti delle politiche pubbliche di contrasto sia i temi su cui serve ancora un maggiore impegno. Questa Commissione è stata confermata dalle forze politiche in Parlamento anche nella legislatura in corso, la diciottesima, e ha cominciato a lavorare a marzo del 2018 sotto la mia presidenza. La nascita della Commissione di inchiesta del Senato ha segnato uno spartiacque nella consapevolezza del legislatore, da un lato per l’esigenza di indagare meglio le cause della violenza contro le donne, dall’altro per fare luce su tutte le politiche attivate sino ad ora, che ancora sono da migliorare e incrementare. L’obiettivo, infatti, è aggredire efficacemente un fenomeno che, nonostante i progressi sul terreno normativo, non conosce battute d’arresto.
Quali sono le decisioni prese dalla Commissione riguardo le forme di violenza di genere e che cosa è stato fatto ad oggi per eliminare o almeno ridurre questo problema che affligge ogni giorno di più le donne nel nostro Paese?
In questi tre anni di lavoro la Commissione ha deciso di organizzare la propria attività costituendo tre sottogruppi, dedicati rispettivamente a prevenzione, protezione e punizione. È la stessa Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne ad indicare “Prevenzione, Protezione, Punizione”, oltre a “Politiche integrate”, come le strategie da adottare per raggiungere un unico grande obiettivo: eliminare ogni forma di violenza e sopraffazione nelle relazioni di genere.
Questo sguardo ampio, recepito anche dalla nostra Commissione, esprime bene un punto chiave, e cioè il fatto che un quadro normativo soddisfacente e in gran parte ormai evoluto, come è quello finalmente in vigore nel nostro Paese, non è ancora sufficiente a fermare un fenomeno che, oltre a ledere i diritti umani di più della metà della popolazione, è anche una delle cause di arretratezza del Paese.
Quindi le “punizioni” non sono ancora sufficienti a fermare la violenza nei confronti delle donne?
Repressione e risposta penale non bastano e, pur essendo fondamentali, da sole non rappresentano la piena soluzione ad un problema culturale e sociale più ampio.
Dal 1996, anno in cui è intervenuto un ampio intervento riformatore in tema di violenza sessuale col passaggio dello stupro a reato contro la libertà personale, molto si è fatto dal punto di vista normativo, sia per la repressione sia per la tutela della vittima, a cominciare dalle novità introdotte nel 2001, con l’ordine di protezione per il convivente e l’allontanamento dalla casa familiare. E ancora, introducendo nel 2006 il reato di pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili e nel 2009 quello di atti persecutori, meglio conosciuto come stalking. Gli anni più recenti, poi, si sono aperti con la ratifica della convenzione di Istanbul da parte dell’Italia, grazie a cui tra il 2013 e il 2015 sono stati introdotte pene più pesanti in caso di presenza di minore o reati contro donne in gravidanza, ulteriori misure cautelari e strumenti più efficaci per l’assistenza e la protezione della vittima; fino ad arrivare al Codice rosso, approvato dal Parlamento nell’estate 2019, che mira a velocizzare il procedimento penale per i delitti di violenza domestica e di genere, accelerando così anche l’eventuale adozione di provvedimenti di protezione nei confronti delle vittime.
Per quanto riguarda la “repressione” cosa è stato attuato?
Sul versante “repressivo” l’attuale Commissione ha ritenuto di partire dagli esiti della precedente inchiesta riservandosi un approfondimento di alcuni aspetti problematici attraverso un articolato ciclo di audizioni sia di magistrati che di esponenti delle forze dell’ordine.
Tra i principali temi affrontati ne ricordo alcuni: i criteri e le modalità di scelta dei consulenti tecnici, sia d’ufficio che di parte, nell’ambito dei procedimenti per reati di violenza di genere; la specializzazione della magistratura sui reati di violenza, già prevista dal CSM e su cui sono stati ascoltati alcuni presidenti di tribunali (o di sezioni) di grandi e medie dimensioni con diversa collocazione geografica; ancora, i problematici rapporti tra procedimenti penali per reati di violenza e giudizi civili per l’affidamento dei minori. Altri due temi di particolare rilevanza su cui la Commissione ha voluto accendere un faro sono gli orfani di femminicidio e le molestie sul luogo di lavoro. Su quest’ultimo, anche dopo uno specifico ciclo di audizioni con tutte le parti sociali, i membri della Commissione hanno sottoscritto un disegno di legge (AS 1597), volto alla introduzione nel codice penale di una fattispecie ad hoc di natura delittuosa e a struttura dolosa.
Inoltre, con riguardo alle analisi sulle effettive dimensioni del fenomeno della violenza contro le donne, anche su impulso di organismi internazionali, tutti i componenti della Commissione hanno presentato un disegno di legge che istituisce un articolato sistema di rilevazione statistica dei dati concernenti la violenza di genere. Tale provvedimento è stato esaminato ed approvato alla unanimità dal Senato ed è attualmente all’esame della Camera dei deputati (AC 2805).
Come è stato affrontato il tema della “prevenzione”?
La Commissione, poi, in linea con l’approccio della Convenzione di Istanbul, ha focalizzato la propria attenzione, attraverso anche la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc, sul tema della “prevenzione”. In tale contesto un ruolo chiave è giocato dalle politiche sul piano della educazione. È innegabile infatti che non si può pensare di contrastare la violenza di genere in modo efficace se non si combatte la questione culturale dalla quale essa si origina. A tal fine appare necessario in primo luogo promuovere l’educazione al valore della differenza di genere e dell’interazione positiva tra i generi e il contrasto agli stereotipi durante l’intero percorso formativo scolastico. Così come è stato poi affrontato il tema del linguaggio sessista e della lotta ad ogni forma di discriminazione basata sul genere, in particolare con riguardo al mondo dei mass media, della comunicazione, della pubblicità.
In merito alla “protezione” delle vittime della violenza quali provvedimenti sono stati adottati?
L’attività conoscitiva della Commissione si è infine focalizzata sulle politiche di protezione. In proposito un primo aspetto che la Commissione ha approfondito è stata la presa in carico delle vittime e il ruolo fondamentale dei centri antiviolenza. A seguito di una lunga ed approfondita attività istruttoria che si è sostanziata anche in questo caso in un ciclo di audizioni, la Commissione ha presentato nel 2020 una relazione (Doc. XXII-bis n. 3) sul tema della governance dei servizi antiviolenza e sul finanziamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio, approvata dall’Assemblea del Senato l’8 settembre 2020, individuando alcune criticità su cui ora Parlamento e Governo sono chiamati a intervenire, sia sulle procedure per l’accesso a tali risorse sia per prevedere più stringenti e puntuali criteri per l’accreditamento dei centri antiviolenza.
Ulteriore profilo approfondito – alcuni elementi sono stati già acquisiti attraverso le missioni nei territori e il lavoro svolto informalmente dal gruppo di lavoro – è rappresentato dal ruolo del sistema sanitario nella politica di contrasto al fenomeno.
E circa la rieducazione degli uomini maltrattanti?
Anche sul tema degli uomini maltrattanti, la Commissione, oltre ad aver acquisito alcuni importanti elementi nel corso del sopralluogo a Trento e Rovereto in occasione della visita ad un centro per uomini maltrattanti, ha anche svolto, un lungo ciclo di audizioni di esperti nazionali e internazionali. Con una relazione che a breve sarà approvata, affermeremo la convinzione che una efficace politica di contrasto alla violenza non possa prescindere dall’attuazione di percorsi di rieducazione degli uomini maltrattanti.
L’impatto del lockdown, l’isolamento, quanto ha inciso sulla violenza alle donne, specie su quella domestica?
La necessità di un approccio integrato alla violenza (la c.d. 4ͣ P della Convenzione di Istanbul) è emersa in tutta la sua evidenza proprio in questi periodi segnati dalla crisi epidemiologica da Covid-19. L’impatto del lockdown è stato dirompente sotto vari punti di vista. E lo è stato particolarmente con riguardo al tema della violenza. L’isolamento, la convivenza forzata, le restrizioni alla circolazione e l’instabilità socio-economica hanno comportato per le donne e per i loro figlio una maggiore esposizione alla violenza domestica e assistita. Per queste ragioni la Commissione ha ritenuto necessario intervenire, approvando un apposito documento (Doc. XXII-bis, n. 1), nel quale sono state indicate alcune precise linee di intervento per far fronte alla “emergenza (della violenza) nella emergenza (epidemiologica)” e in particolare per rispondere ai problemi delle donne vittime di violenza, dei centri antiviolenza, delle case rifugio e degli sportelli antiviolenza e antitratta .
Giancarla Silvestrini